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Intervista a Lord Madness: “le parole dentro di me sono emozioni e io non voglio reprimerle”

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Lord Madness torna con un nuovo album e lo fa paragonandosi al noto attore Heath Ledger, morto dopo aver interpretato Joker nel film “Il cavaliere oscuro”.
Il titolo dell’album è proprio “Heath Ledger” e si tratta di un lavoro diviso in due parti ben distinte, così come lo sono le due personalità che Madness ci racconta nel corso dei brani che compongono questo progetto.

Nella prima parte il protagonista è Madness, con il suo rap funambolico e il suo carattere irriverente e la sua abilità nello scrivere rime che l’ha reso uno dei maggiori esponenti della scena romana.

Nella seconda parte il protagonista è Michele, con tutte le sue fragilità ed emozioni che hanno forgiato il suo carattere attraverso avvenimenti, purtroppo, non sempre felici.

Il tuo album è intitolato “Heath Ledger”, attore che, sappiamo tutti non aver fatto una bella fine. Cos’ha in comune Lord Madness con Heath Ledger?

Che stavo per fare la stessa fine causa simile intruglio di sostanze! Il talento accompagnato dalla pazzia e quel malessere che ci fa più artisti degli altri. Queste componenti esulano dal successo, sono dati di fatto, tratti distintivi che accomunano me alla sua interpretazione del Joker e a tutto quello che da là in poi è avvenuto.

Con le tracce che compongono Heath Ledger avresti potuto tranquillamente realizzare due album diversi (vista anche la diversa attitudine dei brani) perchè invece hai deciso di unirle tutte in un unico progetto?

Perché sono un coglione istintivo, parto per chiudere un disco a 10 tracce e finisco per farne 18. Anacronistico giusto? Ma io sono Lord Madness e non me ne fotte un cazzo. Hanno abolito la terza strofa, la durata dei pezzi deve essere ridotta, gli argomenti sempre gli stessi, lo stile un copia e incolla sennò la gente non recepisce, rime e tempo sono opzionali e gli album si prega di non superare il numero consentito di pezzi. Se mi riempite di quattrini faccio tutto come dite voi ma fino a quel momento faccio tutto come dico io.

A parte darti un sacco di ispirazione nello scrivere pezzi, le tue due differenti personalità protagoniste in questo album ti danno (o ti hanno dato) problemi nel corso della tua vita sociale?

Facendo finta che gli sbalzi di umore non mi destabilizzino ho trovato un minimo equilibrio, stempero con un sorriso i drammi e piango di felicità per soddisfazioni microscopiche. Per il resto ho vita sociale fin troppo grande, non amo stare solo perché mi sovraccarica di pensieri.

Uno dei pezzi dell’album è “Che fine ha fatto Misogenius”, uno dei tuoi alter-ego. Voglio porti la stessa domanda: che fine ha fatto Misogenius?

In Italia c’è qualche problemino col politicamente scorretto e il mio Misogenius ogni tanto si è dovuto nascondere, poi ha riflettuto e la risultante è un grandioso sticazzi! L’ironia è per pochi, l’autoironia per pochi eletti. Ecco Misogenius è l’eletto, e che si fotta Matrix.

In questo momento della tua vita ti senti più Michele o più Madness?

Mi sento entrambi anche perché l’artista è la persona e la persona è l’artista

Pensi che in questo momento il mondo del rap mainstream e quello underground siano molto distanti tra loro? Se si, perchè?

Mai stati così distanti, non siamo in USA dove trovi la Griselda sotto Shady Records o un senzatetto che svolta un contratto rappando per strada davanti a Rick Ross. Qua non si accettano le sfumature, o bianco o nero. Ciò mette naturalmente in contrasto le due realtà, anche i feat sono politica e questo non succede solo in alto. La dinamica è facile, più il mainstream si fa pop più l’underground si affossa, a volte anche volontariamente. Io per un fattore numerico sono relegato nel sottosuolo ma sono allergico alle etichette quindi non ho schieramenti, sto bene con tutti e con nessuno.

Diverse volte hai raccontato nei tuoi brani la sofferenza per la perdita dei tuoi genitori. Pensi che parlarne attraverso la tua musica ti sia servito un po’ come cura per sopportare il dolore?

Ho bisogno di parlare a me stesso, parlare al foglio, ho finito le lacrime ma non finirò mai l’inchiostro. Scrivere è terapeutico, le parole sono dentro di me e io devo tirarle fuori, perché le parole sono emozioni e non voglio reprimerle.

Volevo parlare della tua collaborazione con Promo L’Inverso (senza nulla togliere agli altri produttori) autore di molte tracce dell’album nonché direttore artistico del progetto, come vi siete trovati a lavorare insieme, come avete creato il mood di “Heath Ledger”?

C’è un grande feeling tra me e Promo, sa cucire su misura i beat, capisce dove voglio arrivare, io dico mezza parola e lui mi fa: “aspetta!” Comincia ad arrangiare e arriva dritto al punto. Crede nel progetto e crede in me. È un vero amico.

Come ti poni nei confronti dei rapper della nuova scena? C’è qualcuno che apprezzi, che ti piace come artista o ti senti molto distante da “loro” mondo?

La distanza si colma con un po’ di buon senso e levando i paraocchi. Non mi interessa se sei nuova o vecchia scena ma se hai attitude e abilità. Per me Kid Yugi ne ha, Baby Gang ne ha. Altri no. Il capace e l’incapace sta in ogni scuola e in ogni epoca.

Personalmente quando penso a Lord Madness penso a un rapper molto sottovalutato nel panorama rap italiano, mi pare che le tue abilità tecniche non siano apprezzate a pieno, ma forse è solo una mia impressione. Tu ti senti un “underrated” o credi di avere l’attenzione e il riscontro che ti meriti da parte del pubblico?

Ricevo almeno un messaggio al giorno di questo tipo, che sono underrated, dovrei stare al posto di altri, come mai…ecc. Contento da una parte ma dall’altra credo sia più utile spingere il mio nome in giro, un bel passaparola da tutti quelli che come te la pensano così e il mio nome crescerebbe. Comunque il pubblico che ti rende famoso è fatto da minorenni molto influenzabili, non è colpa loro se ciò che gli viene spinto non è meritevole. La massa è anestetizzata da ciò che gli viene imposto. Non posso avercela con un 15enne che si ascolta le scorreggie, se queste vengono vendute come Chanel. Ho più riserve verso quegli artisti che potrebbero fare il bene di questa musica ma si riducono a dare il culo fingendosi suore che non scopano in nome dell’hip hop. Ho avuto una marea di riconoscimenti e leccate quando non erano nessuno e ora con un contratto major da fame si fanno il viaggio, ti levano il follow e il saluto. Se tiro fuori chat e nomi vi crolla la piramide. Oggi sei il loro punto di riferimento, domani non si ricordano più come ti chiami. Per rispondere alla tua domanda. Io sono uno dei più grandi insuccessi del rap, il mio genio verrà riconosciuto in fase post morte, come hiphopcrisia insegna.

Ora parlo con Michele, cosa ti sentiresti di dire rivolgendoti al tuo pubblico più giovane, riguardo a problemi come la depressione oppure la “salute mentale” di cui si parla tanto ultimamente?

Non usate psicofarmaci, sono il male, droga legalizzata. Cibo, sesso, passeggiare, viaggiare, curare sé stessi e coltivare passioni. Questo è solo un piccolo elenco che metterà legna su quella fiamma che si sta per spengere.

Andrea Bastia
Andrea Bastia
Appassionato di cultura hip hop da ormai troppi anni e writer fallito, dopo qualche esperienza in proprio sul web approda definitivamente su Hano. Si occupa della rubrica dedicata agli artisti emergenti e a quella sui Graffiti.

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