Libero è il titolo del primo album di Galup, al secolo Alberto Galuppini, bresciano, classe 1992.
Prodotto da Strongvilla/Audioglobe il disco nasce nel 2013 dopo la parentesi televisiva del cantante che arriva alla fase “home visit” di X-Factor, reality show al quale però non parteciperà venendo eliminato appunto nella fase di scrematura finale.
Ispirato da questa “avventura” incide il singolo “Questione di carattere”, ed inizia a girare l’Italia con un tour. Così, grazie alla collaborazione con il collettivo artistico mantovano Strongvilla, divenuta negli anni sempre più solida, inizia a lavorare a un album ufficiale che decide poi di intitolare “Libero” prodotto appunto da questa etichetta indipendente. Precedentemente a queste esperienze Alberto aveva già registrato un mixtape su riddim totalmente Jamaicani nel 2010 e vanta qualche piccola altra produzione abbastanza underground. Galup dalla sua ha anche quel minimo di intonazione vocale naturale sfoggiata ad Xfactor, dove, dimenticando sul palco la cover preparata per il provino, improvvisa un pezzo suo. Il pezzo è “Corro” prodotto da Cianobi che insieme a Virgo, Kuma19 e Dj Ferry firmano l’album.
Quel pezzo quindi cantato nel 2013 in tv e prodotto nel 2012, apre questo suo album d’esordio, lasciandomi con l’amaro in bocca. Purtroppo “Corro” è il giusto preludio di ciò che è tutto l’album. Qualcosa di appunto già sentito, un lavoro che più che avere una sua identità ne ricorda molte altre a partire dalle sonorità nei pezzi più ska similissime a quelle dei Franziska, crossando tra le metriche classiche dei Reggae National Ticket degli esordi, passando da testi leggeri con rime baciate abbastanza infantili fino ad arrivare all’abuso di acuti (ahimè spesso stonati) ed eccessivo autotune. Personalmente non mi ha entusiasmata nessun pezzo, ed anzi trovo “Libero” track che da nome all’intero progetto una delle produzioni peggiori del disco, fortunatamente, il rastaman di montichiari canta che non lo spaventano le critiche, quindi a maggior ragione ritengo opportuno esprimermi liberamente.
Galup si promuove come un’artista con una impronta reggae aperto e dedito alle contaminazioni musicali di altri generi (come tutti negli ultimi anni) facendolo però (complice l’arrangiamento) in modo raffazzonato e sporco. Nessuna traccia ha un’identità ben definita, le varie sfumature sembrano tutti esperimenti mal riusciti che spesso ti impediscono di arrivare alla fine dell’ascolto per le fastidiosissime sonorità spesso troppo elettroniche o per gli acuti eccessivi ed inutili. Probabilmente le uniche basi realmente piacevoli sono quella di “Mondo migliore”, e quella di “Dammi libertà” (singolo estratto) che hanno entrambi un ridimm classico, che ovviamente funziona, perché parliamoci chiaro: per mashuppare il reggae con la dub step o ti chiami Major Lazer o forse è meglio evitare.
Si evince nel disco questa tendenza nel voler strafare con però un risultato di solo 12 tracce più una bonus che lasciano a desiderare. Sembra proprio questo il caso dell’allievo capace ma che non si applica? I testi più arrabbiati trattano prevalentemente gli ormai classici temi della disfatta italiana, facendo trapelare questa ribellione verso il sistema per cui poi sostanzialmente nessuno fa nulla, gli altri testi sono invece estremamente leggeri ed a tratti poco comprensibili forse per l’eccessivo uso di vocoder. Anche il flow non è da applausi, Galup spesso va fuori metrica e spesso sembra una copia della copia di Babaman che imita Morodo, i toni rauchi forzati molto presenti, sono irritanti e sprecano la vocalità pulita e spontanea che invece potrebbe vantare senza sforzi.
Spazia tra le tracce ricordando a tratti Entics, ed a tratti Mistaman in versione reggae, insomma questo album ricorda sempre qualcosa d’altro o qualcun altro. Vista la grande chance di presentare un prodotto differente credo avrebbe potuto fare nettamente di meglio. Avrebbe potuto stupire di più. Evolvere di più prima di presentare un album ufficiale, magari sfornando piacevoli mixtape che lo avrebbero aiutato nel definire l’uniformità che invece manca. La scena odierna è palesemente dominata dal rap, ormai declinato magistralmente in tutte le possibili forme e contaminazioni, ed oggettivamente un’operazione simile se ben prodotta sarebbe stata una grande possibilità per essere notati in un panorama musicale che seppur vario ed efficace è appunto mono genere.
Mi auguro che crescendo e trovando le radici dentro se stesso questo giovane talentuoso potrà rifarsi con un nuovo album più maturo e lungimirante.
Valentina Varisco (twitter @Valeficent)