Skolp è un artista che in molti di voi avranno iniziato ad apprezzare grazie alla sua militanza nella storica crew F.Lines dove, insieme a Meth ed altri writer, ha veramente costruito un pezzo di storia del writing italiano.
Come ci spiega in questa intervista al momento Nico Skolp è maggiormente concentrato sulle sue opere di design (non ama la definizione di street art) e ci siamo fatti raccontare qualcosa a riguardo.
Quando hai iniziato a dipingere e qual’era l’ambiente che c’era a quei tempi?
Ho iniziato a scrivere il mio nome nel 1997, quando avevo solo 14 anni e vivevo in un paese non molto distante da Bari. Proprio questa città mi ha aperto gli occhi a una forma d’arte che all’epoca mi sembrava molto distante, ma che mi affascinava molto. All’epoca non esistevano i social come oggi, quindi per apprendere tecniche e stili bisognava stare per strada, viaggiare e conoscere gente. Oggi abbiamo il “tap” o lo “swipe UP” sulle gallery di Instagram. All’epoca allo stesso modo si sfogliavano le riviste/fanzine o si passava il tempo a confrontarci su sketchbook e album fotografici.
Come è nata la storica crew F.Lines e in quali rapporti siete ultimamente?
La F.Lines è nata dal mio incontro con Meth, un writer di Brindisi. Durante il periodo universitario, ho iniziato a frequentare Blow, un altro writer di Brindisi attualmente attivo a Londra, con cui condividevo gli studi. Grazie a lui ho iniziato a spostarmi spesso a Brindisi, dove ho conosciuto Meth. Insieme, fin da subito, io e Meth abbiamo trovato molte affinità stilistiche e di visione. Abbiamo iniziato a viaggiare molto, era l’unico modo per vederci. In quegli anni frequentavamo molto Bologna, che diventò il punto di incontro di tutta la crew, composta all’epoca da noi due, Zoe di La Spezia (oggi Robot Rock, che non fa più parte del gruppo ma con cui siamo rimasti molto amici), Onem di Vasto e a cui si aggiunse dopo qualche anno anche Mer di Genova.
Lontani ma uniti, eravamo tra le poche crew che potevano coprire gran parte del territorio italiano, riuscendo ad essere presenti sempre a molte jam. All’epoca probabilmente se ne organizzavano molte di più rispetto ad oggi e noi cercavamo in tutti i modi di esserci sempre, questo ci ha dato molta visibilità. Oggi, tra di noi, il rapporto è cambiato e ci vediamo raramente, ma per fortuna ci sono i social che ci tengono in contatto. La crew si è allargata grazie a Meth che con la sua forza non ha mai smesso di credere al nostro gruppo, allargando il gruppo alle persone più vicine a lui, e che rispetto molto, oltre ad essere tutti molto bravi e tutti con degli stili freschi e contemporanei. Questi sono Flecso, Fedro, Mr.He, Horso, Rust e Snob. Insomma, uno più forte dell’altro 🙂
Una domanda che mi piace fare spesso ai writer: cosa è cambiato (in meglio o in peggio) da quando hai iniziato a dipingere rispetto ai giorni nostri?
Sicuramente oggi tutto è più accessibile e questo è un aspetto molto positivo, sia dal punto di vista degli strumenti, e quindi della velocità con cui si possono apprendere le tecniche, sia dalla facilità di accesso agli spazi. Tuttavia, come in ogni altro contesto, l’approccio facile non favorisce l’impegno e quindi credo che oggi sia più difficile essere originali, anche soprattutto perché il bombardamento visivo è talmente alto che favorisce pochi e appiattisce molto le diversità. Non so se ho espresso bene il mio pensiero…
Tu rappresenti il classico passaggio da writer a street artist, due figure che spesso “cozzano” un pò tra loro… Cosa ne pensi? Come è avvenuto questo passaggio?
Sono d’accordo che Writing e street art siano due cose che hanno poco da condividere, non li ritengo nemmeno avere una stessa punto di partenza. Ci sono Writer e writer, Artisti e artisti, per cui generalizzare e mettere tutto sotto un unico grande cappello è davvero complesso e sbagliato. Ne tantomeno io mi sono mai definito uno street Artist poiché effettivamente non lo sono, non perché ho qualcosa in contrario, credo molto nella libertà di espressione.
Il mio non è stato un passaggio, nè un evoluzione verso qualcos’altro che non c’era. E piuttosto il desiderio di darmi sfide nuove in contesti anche nuovi, mettendo insieme l’esperienze accumulate sia dal punto di vista dei graffiti e sia dal punto di vista professionale e di formazione, provenendo io dal mondo del design del prodotto e dalla comunicazione. Nelle opere su grandi superficie che sto realizzando mi sento più un designer e da designer cerco di dare una funzione alle configurazioni, forme e ai colori in equilibrio tra di loro possono essere anche utili e non solo egli elementi estetici, per cui nell’ultimo periodo ho lavorato più sulle superfici orizzontali, con l’idea che le persone possano entrare in relazione con le opere, usarle, giocarci e viverle in modo attivo e non solo passivo da semplici osservatori.
Ti capita ancora di fare lettering o ti stai dedicando esclusivamente alla realizzazione delle tue opere di street art?
Amo i graffiti e sono inseparabile da loro, amo e continuo a scrivere il mio nome dove e quando posso, ahimè negli ultimi due anni il “quando” è diventato davvero problema principale: tra lavoro e famiglia (sono da poco diventato papà e al momento è mio dovere dedicare il più tempo possibile alla crescita di mio figlio) il tempo libero è davvero troppo poco per potermi dedicare anche alle passioni, ma non ho dubbi che con il tempo tornerò a dedicarmi anche a me stesso.
L’ultimo graffito l’ho fatto a dicembre del 2021 dedicato a mio figlio, non sarà di certo l’ultimo ma al momento non ho tempo. Si mi sto dedicando sicuramente di più alle mie opere, evitiamo di chiamarle di Streetart, poiché sono diventate a tutti gli effetti una parte del mio lavoro.
C’è qualcosa che rimpiangi del tuo periodo da writer “puro”, della ricerca e l’evoluzione della lettera e di quell’ambiente in generale?
No non ho nulla da rimpiangere, ma quello che mi manca al momento è l’approccio spontaneo, che ho sempre avuto dipingendo quasi esclusivamente in freestyle. Mentre nelle opere che realizzo sono sempre molto vincolato da un progetto sviluppato spesso per mesi di cui riproduco fedelmente ogni centimetro. Di contro realizzare queste opere richiede la mano di una squadra senza del quale non riuscirei a portare a termine gli interventi, l’aspetto sociale e di convivialità diventa parte del processo, ed ogni uscita diventa una festa, infatti non posso che ringraziare ii miei collaboratori tutti parte del collettivo Wallness Club.
Come è nato il tuo stile attuale, dove sfrutti molto i colori e le grandi superfici?
Il mio stile attuale, è il risultato dell’esperienza che ho accumulato sia come writer che come designer della comunicazione. Ho sviluppato questo stile attraverso una ricerca di design generativo, che rappresenta un approccio diverso alla progettazione. Invece di immaginare il risultato finale, si progettano le regole che compongono il design e che daranno vita al risultato formale. Al modificare le variabili, si possono ottenere infinite composizioni. Quindi, il processo diventa più importante del risultato finale stesso.

Per le tue opere collabori spesso con le amministrazioni comunali, come avviene tutto l’iter e come convinci i comuni a fare questi interventi?
Negli ultimi anni, istituzioni, amministrazioni comunali e enti pubblici hanno dimostrato un grande interesse per l’arte pubblica. Fortunatamente, la regione in cui vivo, la Puglia, ha lavorato molto sulla questione del finanziamento degli artisti, mettendo a disposizione fondi europei per la “street art“. Tuttavia, intercettare questi fondi, entrare in relazione, farsi conoscere richiede un costante lavoro di presenza, di scambio, di relazioni e la capacità di essere parte attiva della vita culturale del luogo.
