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Noyz, dacce na mano!

Il dramma personale di un fan che non riesce ad ascoltare il suo disco preferito: Guilty.

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A volte la nostalgia per l’Italia riesce ad andare oltre il ricordo di un semplice piatto di pasta cucinato come si deve. É stato questo il mio pensiero nel vedere le due date con cui Noyz Narcos ha degnamente celebrato nella sua Roma i successi di “Enemy”, la sua ultima fatica discografica. Il disco che gli ha consentito di raggiungere risultati numericamente impensabili per un artista a cui tutto gli si può dire, tranne di essere sceso a compromessi. Abbandonare quell’immagine ruvida e spregiudicata che l’ha portato a diventare un mostro sacro del rap underground non è mai stata un’opzione. Uno che, forse per incompatibilità genetica, non è mai caduto nella tentazione di voler sembrare qualcos’altro. Quella coerenza che a volte ha fatto borbottare un “sì figo, ma è sempre quella roba lì” a tutti quelli che pensano che la musica sia come il guardaroba: se non lo cambi ogni due anni per la moda del momento sei uno sfigato. Chiedere a Noyz di cambiare modo di rappare è un po’ come chiedere a Valentino Rossi di andare a cavallo.

Per altro Enemy non è neppure il suo miglior disco, ma in questa generazione povera di barre e attitudine basta un Noyz in buona forma per farti risalire quel brivido lungo il collo di quando ascoltavi il rap per la prima volta. La versione in vinile poi, tanto per citare uno dei dati, è stata ufficialmente certificata come la più venduta tra gli artisti italiani, subito dietro mostri sacri internazionali del calibro di Pink Floyd (The dark side of the moon) e Nirvana (Nevermind).

Ed è proprio un vinile che mi ha fatto venire voglia di scrivere di lui. Non troppo tempo fa è stata finalmente pubblicata la versione in vinile di Guilty, disco culto del 2010 del rapper romano. Ecco, non penso esista disco con cui ho nel tempo sviluppato un legame affettivo più forte. Consegnato alla storia come il disco che contiene M3: per me, il pezzo più bello della storia del rap italiano con la strumentale più figa della storia del rap italiano. 1’52’’ in cui non c’è nulla di superfluo. Ricordo ancora che una volta un mio amico, parlando di Noyz, aveva analizzato come il pezzo, oltre a essere fortissimo, racchiuda in sé l’essenza di quello che è Noyz Narcos.

Vedi, lui non ha fatto un pezzo per dire che sogna la Bugatti, o la Lamborghini o un’altra macchina pazzesca e irraggiungibile. Lui sogna una M3, una macchina bella eh… ma diciamocelo, se sta attento con le rate se la può comprare anche un idraulico. E’ un grande, è uno di noi

Un pezzo talmente bello che ha fatto passare quasi in secondo piano un disco composto quasi esclusivamente da banger: da Role Model, in cui anche i Dogo si ricordarono di saper rappare, passando per Zoo de Roma, da Mosche nere fino a Italian Psychos e un Fibra formato giorni migliori. Un disco culto, come detto. Ecco, peccato che io non lo possa ascoltare, quanto meno non su Spotify.

Quello che nel tempo mi ha sempre mandato fuori strada, è il fatto che su Spotify, nonostante io sia connesso dal Regno Unito, sono da sempre disponibili tutti i suoi dischi tranne Guilty. L’ipotesi che quello fosse, manco a farlo apposta, l’unico disco a cui non potevo avere accesso da questa terra arida priva di bidè, non mi aveva neppure sfiorato. Pensavo che l’assenza di Guilty fosse piuttosto dovuta a qualche accordo discografico particolare stretto in tempi in cui lo streaming non era un fenomeno così di massa. Macché. Ieri, mi sono tolto lo scrupolo di chiedere a un mio amico in Italia se Guilty fosse presente sul suo Spotify, dando per scontato la sua risposta negativa.

Invece…“Sì sì, certo. Minchia come farei senza M3”. Complotto. Congiura. Loggia Massonica. Il cuore mi si spezza in mille pezzi, proprio come quella volta che ho visto un americano condire gli spaghetti con ketchup e maionese. Caro Noyz, perché mi fai questo?

Io che prima di trasferirmi in Inghilterra pensavo che per studiare l’inglese bastasse sentire Deadly Combination e quell’ Open my bara dorata, sniff my droga tagliata che ancora oggi fa impallidire Shakespeare. Io che ogni volta che inizio una frase con “Io”, mi viene naturale continuare con vendicherò il mio crew, bevo rum, fumo crack, faccio rap. Io che quando ho provato a fare il rapper, ti ho pure aperto un concerto ed ero emozionato più di Emilio Fede durante le telefonate in diretta di Berlusconi. Io che il video in cui dici “Ligabue… vaffanculo” lo quando a cadenza settimanale nei momenti tristi.

Non pensi che mi meriti di poter sentire Guilty su Spotify? – Reddito di cittadinanza + “Sbatti testa muta la tua Fiesta in un Impala”.

Daje Noyz, pensaci tu!

PS Qualche tempo fa in un’intervista con Gionni Gioielli, grande appassionato di basket, avevamo cercato di paragonare i rapper italiani alle stelle del basket NBA. Ricordo ancora come il paragone fosse con Zach Randolph, centro grezzissimo e cazzutissimo d’oltre oceano:

“Noyz è uno dei miei preferiti: Zack Randolph. Ha sempre fatto il cazzo che ha voluto, è uno sballone senza eguali ed è sempre fuori forma. Al tempo stesso però, quando lo vedi giocare, capisci cos’è il basket e nel caso di Noyz cos’è il rap. A Noyz puoi dire quello che vuoi, però quando inizia a rappare non ci sono cazzi”.

(Noyz Narcos – Foto di Roberta Marciello)

Diego Carluccio
Diego Carluccio
Diego Carluccio nasce, in tutta la sua presunzione, il 26 ottobre del 1990. Ora di pranzo. Essendo la modestia il marchio di fabbrica della casa, pare abbia dato suggerimenti e consigli su come affrontare il parto allo stesso medico primario. Volendo affossare l’insopportabile luogo comune secondo il quale “dai licei esce la futura classe dirigente”, si iscrive al liceo classico e, sebbene provi a farsi espellere e/o bocciare ripetutamente, consegue l’impareggiabile successo di diplomarsi in 5 anni con un sensazionale 60/100. Da segnalarsi la tesina di laurea: un mix di Ramstein, Marilyn Manson e Neonazismo. Iscrittosi per sbaglio alla facoltà di legge alla statale di Milano, rimane ripetutamente intrappolato all’interno di quel subdolo e tentatore tragitto che connette la fermata “Missori” e l’aula di Diritto Privato. Ritiratosi dai corsi a metà anno, dedica il resto della stagione 2009-2010 al fancazzismo professionistico. Desideroso di ottenere una laurea però, scegli la carriera universitaria che ha il maggior numero di punti di contatto con la disoccupazione perenne: nel 2011 si iscrive al Dams. Laureatosi con il voto di 99/110, in onore dei kg e del numero di maglia dell’idolo di infanzia Antonio Cassano, conclude la propria esperienza universitaria con un tesi dedicata a “Fabri Fibra” e al rap italiano. Prima tesina nazionale a contenere un numero di parolacce superiore a quello dei segni di punteggiatura. Come ogni buon “critico” giornalista che si rispetti, non manca, tra le esperienze del giovane Carluccio, un fallimento artistico. Firma nel 2015 un contratto discografico con una label minore sotto lo pseudonimo di D-EGO MANIA. Il disco “Non è un paese per rapper” riesce nell’ardua impresa di vendere meno copie dell’esordio discografico dei Gazosa. Ora vive a Londra, frequenta un Master in Digital Journalism e lavora nell’organizzazione eventi per uno degli hotel più lussuosi della capitale britannica, ma non preoccupatevi: la sua vera passione è dirvi quanto fate schifo. ALTRE COLLABORAZIONI: Rolling Stone, Noisey, Il Milanese Imbruttito

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