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Selvaggia Rock

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In questa ultima settimana si è fatto un gran parlare della nomina di Selvaggia Lucarelli, madre di tutte le milf nostrane, a capo della sezione web di Rolling Stone Italia. Apriti cielo. Tra un “che cosa ne vuole capire di musica?” e un elegante “a furia di fare bocchini”, trovo alquanto ironico che sia io a prendere le sue parti. Io che ho fatto del mio “sessismo” (o presunto tale) un vanto, io che per ogni “femmina alpha”  ho un “torna in cucina beta”, io che non riesco a commuovermi per le povere star di Hollywood sorprese che un provino a mezzanotte in camera d’albero culmini con una sega, ecco, proprio io, sento il bisogno di dire la mia sull’ultima trovata di Rolling Stone.

Tralasciando poi il fatto, banale quanto volete ma che ancora sembra sfuggire ai più, che è proprio questo rigurgito di ritardati funzionali a rendere una figura professionale, un programma televisivo o un libro, di successo. Ancora non capite che la rete funziona in base a un discorso prettamente numerico. Scrivere “puttana” 100 volte a Selvaggia Lucarelli, aiuta maggiormente il suo successo che scrivere “sei grandissima” una decina di volte. E’ lo stesso discorso di Sanremo o Xfactor: fa schifo a tutti ma tutti sentono il diritto di dire che fa schifo, con la conseguenza che tutti ne parlano e, nonostante la pochezza qualitativa, siamo ancora qui con Levante che ci spiega la musica. Se proprio non potete sopportarla smettete di parlarne e potreste arrecarle maggior danno che rigurgitarle una valanga di insulti su Twitter. Oltre ai punti bonus eleganza acquisiti di diritto.

In secondo luogo, la Lucarelli è a capo della sezione web di Rolling Stones e, con buona pace di tutti, se una cosa si può riconoscerle è proprio la capacità di sapersi muovere sulla rete, capendone il funzionamento e rigirandola a proprio piacimento. Capirei lo stupore se le venisse attribuito il potere di decidere cosa è o non è un buona musica ma, per fortuna, non è questo il caso.

Il punto cruciale della faccenda è però un altro e vi prego di scusare il tecnicismo: Chi cazzo se lo incula Rolling Stone Italia? Seriamente. Stiamo parlando di una rivista che ha molte più cose in comune con Vanity Fair che con una rivista di musica e, sotto questo punto di vista, mi sembra che la nomina della Lucarelli calzi a pennello. Stiamo parlando di una rivista che pochi anni fa ha messo in copertina i “The Kolors”, il gruppo emo-mascara-babbo uscito da Amici e di cui spero nessuno di noi senta la mancanza.

Ora però, mi rivolgo a voi, caro il mio popolino della “musica vera” di sto cazzo. Voi che sbattete i pugni quando la Lucarelli dirige Rolling Stone, o che invocate l’arrivo degli alieni quando i The Giornalisti vanno in classifica. Quand’è che avete comprato una copia di Rolling Stone? Con che diritto rivendicate la carica di difensori della musica senza mai prendervi la briga di fare qualcosa? I concerti? Costano troppo. I dischi? C’è Spotify gratis con la riproduzione casuale. Rolling Stone? Leggo sul telefonino.

Come fai a lamentarti di chi si occupa di musica in Italia o di chi va in classifica, se tu per primo non fai nulla per fare si che le persone, a tuo dire meritevoli, si prendano quei posti?

Io compro due dischi l’anno, forse tre. Solitamente di artisti che sono morti (Johnny Cash) o di gruppi che non esistono più (Oasis). Per carità anche io quando vedo che i “Comunisti col Rolex” vincono 300 dischi di platino e vanno in tour su Marte mi sale il crimine, ma poi mi fermo e ci penso: Io di chi ho comprato un disco quest’anno? Nessuno. Bene, mi merito Fedez con i filtri da coniglietto. Giusto così.

Ps. Per tutti i ritardati che di tutto questo capiranno: “oh ma Hano sta con la Lucarelli”. Io non sto con nessuno, e la Lucarelli non è il soggetto rilevante del mio discorso ma, se proprio ci tenete, penso che dare della cagna alla Lucarelli sia diventato un goffo modo per tentare di darsi un tono intellettuale. L’ultimo di una lunga serie. Vasco Rossi fa cagare, Fabio Volo è un coglione e la Lucarelli è una cagna. Questo è il magico mantra che definisce “l’intellettuale” medio dei social network italiani. Poi, se glielo chiedi, scopri che ascoltano gli 883 e che l’ultimo libro che hanno letto è: “Io, Zlatan”.

Secondo me la Lucarelli scrive bene, in un modo molto godibile e sapendo cavalcare astutamente quella marea di insulti di cui è solita lamentarsi. E’ furba, pecca di “tuttologia” spesso e volentieri, ma è lautamente pagata per farlo. Io lo faccio dal mio divano da quando ho 12 anni, gratis.

Diciamo le cose come stanno però, la vera colpa della Lucarelli è di essere figa e di avere le tette grandi. Perchè se Selvaggia Lucarelli assomigliasse ad Achille Lauro non gliene fregherebbe un cazzo a nessuno. Sia quando ha ragione che quando ha torto. Sto paese di pseudo macisti di sta cippa, ostenta testosterone da secoli ma va ancora nel pallone quando c’è una figa che si prende la briga di dire cose giuste o stronzate senza farsi troppi problemi. L’unica modello che funziona per noi, sono quelle dei programmi calcistici che aspettano 40 minuti per dire una frase che si sono ripetute nella testa dall’inizio della trasmissione. Quello va bene.

Menzione speciale per le donne che sono, di gran lunga e a sorpresa, le principali insultatrici seriali sui profili social della Lucarelli. La vostra capacità di odiarvi tra di voi è una dote che ammirerò per sempre. Non stupitevi poi se non riuscite ad eleggere un presidente donna o, più semplicemente, a vincere la Talpa.

Ossequi.

Diego Carluccio
Diego Carluccio
Diego Carluccio nasce, in tutta la sua presunzione, il 26 ottobre del 1990. Ora di pranzo. Essendo la modestia il marchio di fabbrica della casa, pare abbia dato suggerimenti e consigli su come affrontare il parto allo stesso medico primario. Volendo affossare l’insopportabile luogo comune secondo il quale “dai licei esce la futura classe dirigente”, si iscrive al liceo classico e, sebbene provi a farsi espellere e/o bocciare ripetutamente, consegue l’impareggiabile successo di diplomarsi in 5 anni con un sensazionale 60/100. Da segnalarsi la tesina di laurea: un mix di Ramstein, Marilyn Manson e Neonazismo. Iscrittosi per sbaglio alla facoltà di legge alla statale di Milano, rimane ripetutamente intrappolato all’interno di quel subdolo e tentatore tragitto che connette la fermata “Missori” e l’aula di Diritto Privato. Ritiratosi dai corsi a metà anno, dedica il resto della stagione 2009-2010 al fancazzismo professionistico. Desideroso di ottenere una laurea però, scegli la carriera universitaria che ha il maggior numero di punti di contatto con la disoccupazione perenne: nel 2011 si iscrive al Dams. Laureatosi con il voto di 99/110, in onore dei kg e del numero di maglia dell’idolo di infanzia Antonio Cassano, conclude la propria esperienza universitaria con un tesi dedicata a “Fabri Fibra” e al rap italiano. Prima tesina nazionale a contenere un numero di parolacce superiore a quello dei segni di punteggiatura. Come ogni buon “critico” giornalista che si rispetti, non manca, tra le esperienze del giovane Carluccio, un fallimento artistico. Firma nel 2015 un contratto discografico con una label minore sotto lo pseudonimo di D-EGO MANIA. Il disco “Non è un paese per rapper” riesce nell’ardua impresa di vendere meno copie dell’esordio discografico dei Gazosa. Ora vive a Londra, frequenta un Master in Digital Journalism e lavora nell’organizzazione eventi per uno degli hotel più lussuosi della capitale britannica, ma non preoccupatevi: la sua vera passione è dirvi quanto fate schifo. ALTRE COLLABORAZIONI: Rolling Stone, Noisey, Il Milanese Imbruttito

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